Page 12 - Flip giardini
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MENO NORME
E PIÙ BUONSENSO
Alla fine degli anni Settanta Réné Schérer e Guy Hocquenghem scrivevano nel loro Album sistematico dell’in-
fanzia (Feltrinelli, 1979) che «il bambino fuori, che vive cioè al di fuori di una qualche trama familiare, scolastica,
e in genere di sorveglianza, è propriamente inimmaginabile, perché è irreperibile». E così proseguivano: «Il bam-
bino fuori è difficile da pensare …. In ogni ora o quasi della giornata il bambino è interamente definito in un certo
campo la cui struttura, è per lui, più o meno elastica. Ma è sempre imperativa, spazialmente e temporalmente
determinata. Deve essere localizzato da qualche parte …, deve sempre poter dire dove si trova e rendere conto
di ciò che ha fatto o sta facendo».
Oggi ci rendiamo perfettamente conto dei danni che questa situazione provoca nello sviluppo dei bambini,
soprattutto di quelli che vivono nelle nostre città, nella nostra società che definiamo “del benessere”: questo be-
nessere porta con sé forme anche profonde di malessere. Ovviamente la soluzione non è un irrealistico “ritorno
al passato”, un passato prossimo peraltro, poiché questi cambiamenti nello stile di vita della nostra società è av-
venuto progressivamente nell’arco di due generazioni (circa 40 anni): quando i bambini giocavano liberamente
per strada (le auto erano poche), nei cortili (non ancora trasformati in parcheggi), in luoghi urbani più o meno
verdi ma certamente non “arredati” per il gioco infantile. Le sfide che abbiamo oggi dobbiamo affrontarle nella
nostra attuale realtà, guardando al futuro non al passato, anche se il passato ha sempre qualcosa da insegnare.
Dobbiamo chiederci perché, mentre il bambino si trova perfettamente a proprio agio negli spazi all’aperto
(chiunque abbia a che fare con l’infanzia sa che i bambini fuori stanno bene…), noi adulti ci sentiamo a disagio. Il
bambino all’aperto destabilizza l’adulto preposto al suo controllo. È come se noi percepissimo il bambino che si muo-
ve liberamente in uno spazio libero, non contenuto da quattro rassicuranti mura, cioè da una sorta di recinto che ne
limita le possibilità di azione, come un bambino in pericolo e l’ambiente esterno come un ambiente pericoloso per lui.
Qui sta il punto, abbiamo perso il senso della fondamentale distinzione fra rischio e pericolo. Tendiamo a
percepire come “pericoloso” anche tutto ciò che può rappresentare qualche ragionevole dose di rischio per un
bambino. Nel nostro linguaggio comune diciamo “correre il rischio”, ma non diciamo “correre il pericolo”. Il rischio
è una situazione che, valutata dal soggetto, si può attraversare, mentre il pericolo è una situazione che, ricono-
sciuta come tale, si evita. Dove si collochi la linea di demarcazione fra rischio e pericolo è impossibile da definire
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